🎥#ELETTRITV💻📲 Intervista ad Ambrogio Sparagna e Lumenèa, Fabrica Festival, Fabrica di Roma
Nell’epoca contemporanea com’è la percezione della musica popolare?
Ambrogio Sparaga:
È una domanda complicata, nella cultura che viviamo tutti i giorni siamo completamente immersa in quella che io chiamo la musica di plastica, una musica che e’ soltanto una sorta di emissioni di frequenze che privilegiano le parti più estreme, gli acuti e i bassi e manca il senso fondamentale della musica, il senso dell’Armonia, l’idea che attraverso la musica, delle persone possono stare insieme e vivere una una vita di condivisione. Tranne poi in alcuni casi in cui si creano queste esperienze di vita, soprattutto quello che succede in alcuni ambienti rurali, paesi nei centri dagli Appennini in giù o nelle isole in Sardegna, in particolare in quei luoghi dove ancora c’è una coscienza di quello che un tempo era quello che noi chiamiamo la musica popolare, la musica che accompagnava i momenti salienti della vita, di una persona, delle persone semplici, non soltanto dei signori e dei re che avevano la loro musica di corte. La musica popolare serviva a vivere ogni giorno e questo veniva realizzato attraverso un’idea di esperienza, che era tutta nella condivisione dalla prima nota fino all’ultimo. In questo ambiente la poesia era importantissima, noi siamo in una terra – l’Italia – che ha sempre avuto nella poesia popolare un tipo di attenzione importantissima, io ho registrato tanti anni fa i poeti a braccio, i poeti in ottava rima, ed in questi luoghi per esempio le feste i momenti centrali della vita contadina erano segnati proprio dall’incontro dei poeti che raccontavano, chiamiamolo così, il mestiere della vita attraverso la bellezza della musica, del canto, della poesia. Ora non c’è più quello che c’era prima, ma non ci può essere perché la società è profondamente cambiata, però ci sono dei ragazzi, dei giovani, tante piccole realtà e Lumenèa è questo tipo di esperienza, dove dei ragazzi che vengono da esperienze comune di studi condivisi, si trovano insieme e scelgono di utilizzare il canto popolare, come forma espressiva della propria quotidianità, magari poi fanno anche altre cose, c’è chi studia in conservatorio, chi studia all’università, chi lavora, però nel canto popolare ritrovano quella dimensione che era tipica dei nonni e ancor prima dei loro avi. E’ il caso di Lumenèa, di quell’area lì del Salento, della Grecia Salentina, è uno degli esempi più significativi, noi siamo figli di questo incrocio di culture, perché il griko per esempio viene dalla Grecia e quindi tutto quello che noi siamo viene da quel mondo lì, dall’incrocio, da forme di cultura che per secoli hanno trovato una una sorta di dialogo talvolta volontario e talvolta involontario. Non sempre il dialogo era determinato da una necessità di cooperazione, dovevano in certi casi anche adattarsi quel momento in cui arrivava un ente esterno, un soggetto esterno, un potere esterno, come possono essere nel caso della cultura mediterranea, per esempio gli arabi nell’800 o quant’altro, gli angioini, gli aragonesi, gli spagnoli, i francesi, c’è sempre stata una sorta di adattamento, quello che però la cultura popolare ha determinato è una stratificazione di modi di vivere che poi trovano la loro funzione nell’esperienza di condivisione con gli altri. Noi oggi facciamo fatica a pensare ad una condivisione come era fatta antecedentemente a quella che è la nostra generazione, però in realtà è sempre stato così, io racconto sempre che c’è stata una certa imposizione di certi modelli di una cultura, chiamiamolo così, ufficiale ecclesiastica a partire dal ‘500 in poi, ma gli stessi Gesuiti per esempio davano poi delle indicazioni di tutt’altro genere, per cui accanto a quello che noi chiamiamo la musica liturgica, c’erano le canzoni che non erano nella liturgia, ma erano nella dimensione del popolo, soprattutto come abbiamo fatto stasera, due canti al natale che venivano eseguiti direttamente nelle case, quindi questo significa che la gente ha sempre vissuto un’esperienza di bisogno di trovare se stessi attraverso il canto e la musica.
La proiezione della musica verso il Futuro?
Ambrogio Sparagna:
Noi siamo tenaci, come dire io sono oltre 50 anni che continuo questo mio lavoro che è sempre stato di ricerca di studio, ma soprattutto poi sono sempre stato un organizzatore di gruppi, di promozioni culturali, le orchestre, da 20 anni dirigo all’Auditorium Parco della Musica di Roma, un’orchestra con cui facciamo progetti di vario genere, questo tipo di modello sicuramente non è che cambierà il mondo, però in alcuni casi a vivere un po’ meglio, l’esempio dell’organetto è indicativo quando tanti anni fa ho cominciato a suonare questo strumento gli stessi costruttori dicevano; Tu sei l’ultimo ragazzo che suona questo strumento, beh adesso nell’area di Castelfidardo, Recanati, Osimo si costruiscono migliaia di organetti all’anno. Quella che noi chiamiamo l’industria artigianale degli strumenti musicali, vive anche grazie al lavoro che noi modestamente abbiamo fatto su questi strumenti, perché sono riaperti i laboratori, si sono riaperte le scuole e quindi tanti ragazzi hanno ripreso a suonare questo strumento che sembrava dedicato all’oblio. L’esempio è questo, ora è chiaro che non è che cambieremo come ho detto prima il mondo, ma forse riusciamo a vivere un pochettino meglio questi anni che abbiamo!
Ringrazio voi che fate questa esperienza, @elettritv, un saluto a tutti voi, soprattutto perche’ si occupa della musica vera, non quella di plastica!
Il griko è la lingua della poesia, molti poeti antichi hanno raccontato un mondo, una cultura straordinaria, prendendo spunto da quello che erano le immagini che noi che abbiamo studiato la cosiddetta cultura classica, troviamo molto comuni nelle poesie dei canti della tradizione di questa parte del Salento, uno dei protagonisti è sempre il Sole, il Sole che irradia, che dà la luce, una luce che da quelle parti è accecante, totalizzante e fa impressione, questo canto in cui l’innamorato è così perdutamente spasimante del suo amore, che addirittura dice al sole, tu non hai la luce che c’ha la mia bella, la mia bella è una luce che a differenza di te, giorno e notte irradia la sua straordinaria luminosità ed è così forte che io non riesco a staccarmi mai, tantè in questo dialogo a un certo punto, il sole dice a questo innamorato, hai ragione tu, vedi la luce della tua ragazza così straordinariamente intensa che io sono invidioso di questa sua luminosità. E’ una poesia ovviamente che rimanda a mondi che non ci sono più, a mondi della cosiddetta antichità, della classicità che ci piace, però riportare in scena proprio grazie alle voci, suoni di questi splendidi ragazzi di Lumenèa che mantengono una tradizione che si era ahimè perduta e che grazie anche a questo tipo di esperienza riesce a essere oggi più che mai la musica della nostra contemporaneità.
No comments